
I disturbi dell’elaborazione uditiva centrale (CAPD-Central Auditory Processing Disorder) sono stati descritti da Keith (1986) come una condizione in cui una persona ha difficoltà a processare o interpretare l’informazione uditiva, quando presentata in un ambiente uditivo non ottimale.
L’elaborazione uditiva è la capacità del nostro cervello di discriminare tra stimoli sonori diversi e di attribuirgli un significato, pertanto richiede l’integrazione di diverse abilità: ascolto, comprensione, interpretazione, espressione.
Grazie a questa integrazione il cervello elabora in genere i suoni percepiti in maniera quasi istantanea.
Nelle persone con disturbi nell’elaborazione uditiva centrale questa integrazione è disturbata dai rumori di fondo o ritardata, anche se la soglia a toni puri alla valutazione audiometrica risulta nella media della popolazione generale.
Teri Jamer Bellis, massima esperta nei Disturbi dell’Elaborazione Uditiva Centrale ha individuato 5 categorie in relazione a quale regione del cervello mostra prestazioni inferiori a quelle della popolazione generale.
Deficit di decodifica uditiva (regione interessata: corteccia uditiva primaria sinistra) è il classico Disturbo dell’Elaborazione Uditiva Centrale.
L’elaborazione dell’informazione è lenta e non accurata, ciò comporta che il bambino, e l’adulto, deve fare un lavoro maggiore per riuscire a interpretare quello che ha sentito e sperimenta difficoltà nella lettura, nella percezione della differenza tra suoni simili, nella comprensione del linguaggio altrui, soprattutto se l’interlocutore parla in un dialetto non familiare, nel cogliere sfumature veicolate dalla voce, come il sarcasmo, nell’ascolto al telefono.
I bambini e gli adulti con questo deficit hanno difficoltà nello spelling, nell’analisi, nell’ascolto in ambienti rumorosi, nonostante l’esito del test audiometrico risulti nella norma.
Deficit di associazione uditiva (regione interessata: corteccia uditiva associativa sinistra) con difficoltà nell’applicare le regole del linguaggio ai suoni che sentono. Il rumore ambientale spesso riduce le loro abilità nel comprendere il linguaggio.
Questo deficit comporta difficoltà nella ricezione del linguaggio, compresa la semantica e la sintassi, nella comprensione di un testo scritto, nei problemi matematici che comprendono l’uso di parole. Le persone, in questo caso, dicono spesso di “non aver capito”, di “non sapere cosa vuoi dire”.
Deficit di integrazione (regione interessata: corpo calloso e cervelletto), con difficoltà nel portare a termine compiti che richiedono l’integrazione fra diversi sensi (per esempio vista/coordinazione della mano), soprattutto nel far collimare le informazioni uditive e visive, e frequenti ritardi di risposta.
Questo tipo di deficit può comportare il sillabare le parole foneticamente e non secondo le regole grammaticali, il “cantare” l’alfabeto ma la difficoltà ad elencare le singole lettere, difficoltà di memoria nel ripetere qualcosa appena udito.
Deficit di prosodia (regione interessata: corteccia uditiva non primaria (destra) e aree associate, nonché cervelletto) con difficoltà a cogliere l’intonazione, tendenza a parlare o leggere in modo monotono, difficoltà nel cogliere le indicazioni tonali che indicano se un messaggio è umoristico, sarcastico o interrogativo. I bambini e gli adulti con difficoltà prosodiche hanno problemi con la comunicazione pragmatica – gli elementi di base della comunicazione sociale come i saluti, le presentazioni, mantenere viva una conversazione, eccetera.
Questo tipo di deficit può comportare difficoltà nel sillabare le parole, nel fare calcoli, nella matematica in generale, nei compiti visuo-spaziali e nel cantare intonati.
Deficit di organizzazione dell’output (regione coinvolta: sistemi fronto-temporali e/o sistemi efferenti e cervelletto), con difficoltà a organizzare, mettere in ordine, richiamare o esprimere risposte appropriate. I bambini e gli adulti con questo deficit ascoltano, analizzano, connettono e associano correttamente le informazioni necessarie ma articolano con difficoltà quel che desiderano dire e mostrano in genere difficoltà nei compiti che richiedono pianificazione e abilità motorie.
Questo tipo di deficit comporta scarse capacità uditive in ambienti rumorosi, difficoltà nell’organizzazione, difficoltà nel linguaggio espressivo e nel ricordare le parole.
Oggi è possibile identificare un disturbo dell’elaborazione uditiva attraverso una serie di test specifici.
E’ altresì possibile, in ogni caso, ed estremamente importante, prestare attenzione ad alcuni comportamenti che possono essere indicatori significativi di questa condizione, come, ad esempio:
- difficoltà nel seguire le indicazioni che si ricevono verbalmente,
- la tendenza a distrarsi facilmente,
- uno stato di continua agitazione,
- un disagio evidente in situazioni rumorose e affollate,
- la richiesta continua di ripetere quello che è stato detto,
- poca concentrazione,
- una forte sensibilità a rumori intensi e improvvisi,
- lateralizzazione non netta dopo i 4/5 anni,
- ritardi nel linguaggio verbale,
- difficoltà nel pronunciare parole: per esempio “efelante” al posto di “elefante”
- difficoltà nell’utilizzo del linguaggio e nell’articolazione di ciò che si intende dire
- inversione di lettere e parole: per esempio “d” e “b”, “cip” e “pic”
- lentezza nell’apprendere la connessione fra lettere e suoni
- difficoltà nel seguire o ricordare istruzioni
- lentezza nell’elaborazione di un linguaggio intellegibile
- difficoltà nel leggere ad voce alta
- scarsa risposta al linguaggio umano
- difficoltà ritmiche
- difficoltà nel ripetere un racconto nella sequenza corretta
- mancanza di una netta lateralizzazione oltre i 4-5 anni.
I bambini con disturbi dell’elaborazione uditiva centrale alle volte possono dare l’impressione di non sentire bene, in realtà questo accade perché sono distratti da altri stimoli uditivi presenti nell’ambiente, che ai presenti possono apparire non significativi.
Allo stesso tempo possono mostrare una lentezza nella risposta a stimoli verbali, perché “prendono tempo” per elaborare l’informazione incompleta e trasformarla in un messaggio con un significato.
DISTURBI DELL’ELABORAZIONE UDITIVA CENTRALE, AUTISMO, DISLESSIA
Spesso i bambini e i ragazzi con disturbi dell’elaborazione uditiva centrale finiscono col ricadere sotto la diagnosi di autismo, disturbi dell’attenzione, disturbi dell’apprendimento o disturbi del linguaggio.
E per questo motivo vengono inviati a neuropsicologi, neuropsichiatri, psicologi, logopedisti, che li valutano e effettuano interventi di riabilitazione agendo sulle sue conseguenze e non sulla condizione primaria.
In questo modo si corre il rischio di mettere in atto trattamenti lunghi, faticosi e con scarsi risultati.
Negli Stati Uniti circa la metà degli specialisti in audiometria in presenza di difficoltà significative nell’apprendimento effettuano test uditivi specifici per verificare l’eventuale presenza di un interessamento delle vie uditive centrali (Martin F.N.,1998).
In Italia, invece, i protocolli diagnostici per la dislessia, per l’adhd, per l’autismo non comprendono una valutazione audiologica né una valutazione foniatrica.
Inoltre, ignorano del tutto la valutazione degli aspetti funzionali dell’elaborazione uditiva centrale.
In questo modo la valutazione della capacità uditiva viene lasciata solo ai test di valutazione fonologica e di discriminazione fonologica.
E questo anche se le ipotesi che riconducono la dislessia (Katz, 1992), l’autismo, i disturbi dell’attenzione (Chermark G.D. (1996). a un disturbo dell’elaborazione centrale sensoriale siano ampiamente presenti in letteratura.
Allo stesso modo non sono a oggi sufficientemente esplorati i legami tra disturbi dell’elaborazione uditiva centrale, disturbi del linguaggio, Adhd.
Tantomeno è richiesto, in fase diagnostica, l’approfondimento delle capacità uditive complete tramite adeguate prove audiologiche (Bellis, 1996; Chermark e Musiek, 1997; Mastes, Stecker e Katz, 1998).