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IPERACUSIA E AUTISMO

L’iperacusia è stata ritenuta a lungo un sintomo molto frequente nell’autismo.

Sono state fornite già più di trent’anni fa prove preliminari e sistematiche del fatto che una persona diagnostica come autistica circa su cinque con “udito normale” presenti iperacusia.

Lo stesso fenomeno, invece, è molto raro tra i bambini e i ragazzi non autistici (Coleman & Gillberg, 1985). 

Forse lo stereotipo della bolla autistica viene da lì. Cioè dallo stereotipo della bolla della sordità. 

Alcuni anni fa ho letto Neurotribù di Steve Silberman, il giornalista di Wired che già nell’articolo “The Geek Syndrome”, pubblicato su Wired nel 2001, aveva descritto l’autismo come la sindrome del geek. 

Silberman sostiene che alcuni membri di quella che lui definisce Neurotribù siano emigrati negli ultimi anni dai margini della società ai posti di comando.

Molti di quelli che erano stati bambini e adolescenti ridicolizzati e additati dispregiativamente come nerd sono diventati, da adulti, gli architetti del nostro futuro.

Questo perché nelle sue ricerche ha osservato un tasso di autistici elevato nella Silicon Valley.

È noto – dice – che i tratti dello spettro autistico non siano esattamente sotto-rappresentati tra i fanatici del computer.  

Anche se ho trovato molto apprezzabile l’intento di cambiare la narrazione dell’autismo, mi ha preoccupato il rischio che un’inchiesta di quel tipo contribuisse, involontariamente, proprio a raggiungere l’obiettivo opposto a quello che si era proposto.

Arrivasse, cioè, a confermare lo stereotipo classico della persona autistica chiusa nella sua cameretta davanti a un computer o a una radio, ma anche a proiettare ancora una volta attitudini di genialità su un’intera categoria diagnostica.  

Silberman riferisce del suo incontro con Larry Wall, il creatore di Perl, il linguaggio di programmazione open-source tra i più importanti e usati al mondo.

Racconta che quando gli chiese di poterlo intervistare nella sua casa nella Silicon Valley, Wall accettò volentieri, ma volle informarlo subito di avere una figlia autistica.

Nel corso dell’intervista, mentre Wall raccontava di come era nato Perl, Silberman notò che alle sue spalle si era accesa una lampadina.

Wall gli spiegò di aver sostituito la suoneria dell’asciugatrice con un segnale luminoso, perché il piccolo suono alla fine di ogni ciclo lo disturbava molto.  

Racconta Silberman che la prima cosa che gli era venuta in mente era stata che una modifica di quel genere all’asciugatrice doveva essere stata molto semplice da realizzare per l’uomo che già nel 1998 aveva creato e divulgato un codice che aveva permesso all’hacker Perl Bruce Winter di automatizzare tutti i dispositivi di casa.

Ammette di aver realizzato solo in un secondo tempo che quella sensibilità di Wall così acuta per i suoni poteva essere il punto di collegamento tra l’autismo della figlia e la tribù di industriosi eremiti – come lui la definisce – che aveva inventato il moderno mondo digitale. 

Danesh et al. (2015) hanno riferito che 38 pazienti su 55 (69%) diagnosticati come sindrome di Asperger avevano iperacusia e 19 (35%) avevano acufene.

Altri studi hanno rilevato che comportamenti come l’evitamento sociale e la copertura esagerata delle orecchie, due tratti comuni nella popolazione acustica, suggeriscono una risposta difensiva a uno stimolo uditivo disturbante. 

L’iperacusia potrebbe essere un segno di problemi alle vie uditive o di anomalie nel sistema limbico (Gomes et al. 2004; l& Davis 2010).

È stato ipotizzato, infatti, che il sistema limbico potrebbe generare una reazione emotiva negativa ai suoni e trasmetterla alla corteccia uditiva che, a sua volta, innescherebbe la percezione della reazione negativa (Katzenell & Segal 2001; Nigam & Samuel 1994). 

Ma l’iperacusia nella popolazione diagnosticata come autistica potrebbe essere determinata anche da altri fattori meno attesi.  

Uno studio di imaging su 14 soggetti diagnosticati come autistici ha studiato la relazione tra ipersensibilità al suono e disturbo da deiscenza del canale semicircolare superiore nelle persone autistiche (Thabet & Zaghloul 2013).

Si tratta di un disturbo in cui l’osso tra il canale semicircolare superiore e la volta cranica è molto sottile o assente, con un’incidenza nella popolazione generale di circa il 2% (Carey et al. 2000). 

Sorprendentemente, Thabet e Zaghloul (2013) hanno rilevato che il 29% delle persone con diagnosi di autismo combinato con iperacusia ha mostrato una deiscenza del canale semicircolare superiore

Alcuni casi di iperacusia possono essere collegati, anche, a una ridotta efficacia delle vie efferenti del sistema uditivo (Tyler et al.2014).  

Un aspetto del funzionamento delle vie efferenti, l’integrità del percorso del fascio olivo-cocleare mediale, può essere valutato registrando le emissioni otoacustiche con e senza stimolazione acustica controlaterale (Giraud et al. 1995).

È noto, infatti, che la riduzione delle emissioni otoacustiche mediante stimolazione controlaterale riflette la normale funzione inibitoria del fascio olivo-cocleare mediale sulle cellule ciliate esterne (Collet et al.1992).  

Danesh e Kaf (2012) hanno misurato le ampiezze delle emissioni otoacustiche del prodotto di distorsione per i bambini autistici e le hanno confrontate con quelle di un gruppo di controllo di pari età.  

I prodotti di distorsione otoacustici sono un’energia acustica prodotta dall’interazione di due toni inviati puri, legati fra loro da un rapporto di frequenza, inviati simultaneamente alla coclea. 

In assenza di rumore le ampiezze dei prodotti di distorsione sono state minori per i bambini autistici e questo risultato suggerisce la presenza di una disfunzione cocleare. Quando i prodotti di distorsione sono stati registrati in presenza di rumore controlaterale, l’effetto di soppressione era più debole per i bambini autistici rispetto al gruppo di controllo, suggerendo una disfunzione del fascio olivo-cocleare mediale.  

I risultati di Danesh e Kaf (2012) potrebbero spiegare perché molti bambini diagnosticati come autistici in realtà soffrano di ipersensibilità ai suoni e difficoltà a sentire nel rumore di fondo (Giraud et al.1997). 

I bambini che ricevono diagnosi di autismo, molto spesso, infatti, pur avendo un udito funzionante, hanno difficoltà a distinguere le parole dal rumore di fondo.

Il tentativo di identificare i suoni che si presentano rapidamente può essere ragionevolmente ritenuto la causa, in questo caso, del loro eloquio lento e incerto.  

Molti meltdown autistici non sono altro che reazioni emotivamente intense di ansia, rabbia, panico, che si scatenano in seguito a un’esposizione prolungata a uno o più suoni che per la persona autistica possono essere fortemente disturbanti.

I suoni che più di frequente scatenano queste reazioni sono il rumore di qualcuno che si mangia le unghie, il pianto acuto di un bambino, alcuni versi di animali come il cinguettio degli uccelli o l’abbaiare di un cane.

Vi sono anche suoni come il rumore che fa qualcuno che si scrocchia le dita delle mani o altre articolazioni del corpo, la suoneria di un cellulare, il ticchettio di un orologio. 

In un altro studio, simile a quello precedente, Kaf e Danesh (2013) hanno confrontato i prodotti di distorsione otoacustici e la soppressione controlaterale misurati in un gruppo di bambini diagnosticati come sindrome di Asperger (18 maschi) con quelli di un gruppo di controllo costituito da bambini di pari età della popolazione generale.

Non è presente alcuna differenza significativa nelle ampiezze dei prodotti di distorsione e nella soppressione controlaterale tra i due gruppi.

Il confronto degli studi di Danesh e Kaf (2012, 2013) suggerisce che il diminuito effetto di soppressione delle emissioni otoacustiche può fornire prove neurofisiologiche a favore di una ridotta funzione del fascio mediale olivo-cocleare.

Questo soprattutto nei bambini autistici con ritardo cognitivo, ma non nei bambini autistici con sviluppo cognitivo tipico. 

Non sembra imputabile al caso, tra l’altro, il fatto che molte persone autistiche abbiano il cosiddetto “orecchio assoluto”, vale a dire la capacità di riconoscere esattamente, se non anche di riprodurre, la frequenza di una nota senza un diapason o altri riferimenti di sorta.

Tale capacità è stata attribuita a compositori come Bach, Mozart e Beethoven, anche se non è ancora ben chiaro se si tratti di un’abilità innata o acquisita con l’esperienza e quale sia l’area del cervello che ne è responsabile. 

In generale i bambini che mostrano uno sviluppo evolutivo abbastanza tipico, ma presentano difficoltà sociali, comunicative, linguistiche, di apprendimento, andrebbero valutati per iperacusia e dispercezioni uditive. 

Uno studio preliminare ha valutato la presenza di iperacusia anche in un piccolo campione di 30 bambini con ADHD rispetto a un gruppo di controllo di 30 bambini con udito nella norma abbinati per sesso e per età.

Sulla base della valutazione neuropsichiatrica audiologica e multidisciplinare, è stata diagnosticata iperacusia in 11 bambini, il 36,7% del gruppo di studio e in 4 bambini, il 13,3%, del gruppo di controllo, con una differenza statisticamente significativa. 

Qualunque otorino sa che se il bambino non reagisce ai suoni, mostra difficoltà nello sviluppo del linguaggio verbale o è lento nel rispondere, è molto probabile che abbia una difficoltà uditiva.

E se questa difficoltà uditiva non viene rilevata dalla strumentazione diagnostica, non significa necessariamente che non ci sia. E può portare a conseguenze comportamentali che non vengono comprese. 

Iperacusie anche di lieve e media entità, se protratte nel tempo, possono determinare difficoltà nell’ascolto in presenza di rumore e nella localizzazione delle sorgenti sonore e interferire con la capacità di riprodurre i suoni delle parole udite. 

Distorsioni nella lateralità uditiva possono alterare la localizzazione dei suoni in base alla provenienza spaziale, rendendo difficile distinguere un interlocutore dall’altro quando si è in presenza di più parlanti. 

Perché un’iperacusia non potrebbe avere effetti simili a un’ipoacusia? 

Perché una difficoltà nella localizzazione dei suoni in base alla provenienza spaziale non potrebbe spiegare la difficoltà a rispettare il turno in una conversazione.

Questa è una difficoltà ritenuta abbastanza tipica dell’autismo.  

Se le persone autistiche a volte sembrano ignorare chi si rivolge a loro, chi li chiama per nome, perché non potrebbero avere una difficoltà uditiva? 

Se il bambino o l’adulto non mostra segni di ipoacusia o di sordità, generalmente il difetto uditivo viene escluso e si propende per una diagnosi esclusivamente comportamentale, basata su un presunto deficit nelle capacità di comunicazione e di socializzazione.

Eppure sono tantissime le persone autistiche che lamentano iperacusia, spesso anche grave.

Perché? Perché questa iperacusia viene considerata come una condizione specifica degna di nota solo raramente e viene relegata, invece, tra la sintomatologia secondaria, quando non addirittura ignorata o ricondotta a un disturbo psichiatrico o a una idiosincrasia personale? 

Perché non ascoltare i genitori che sospettano un difetto d’udito quando il loro bambino  non risponde al nome o non gira la testa verso la sorgente dello stimolo uditivo o sembra isolato nel suo mondo? 

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