man and woman communicating through hand gestures

I PRESUPPOSTI CULTURALI DELL’IDEA DIFFUSA DI DISABILITA’

Teorico dei Disability Studies in questo libro molto originale sui presupposti culturali che governano la nostra concezione delle persone con disabilità, si oppone con forza al discorso “abile”.

Esamina alcuni concetti nati attorno a quello di “normalità” maturati nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti negli ultimi 250 anni. 

In questo ragionamento Davis mostra come lo stato-nazione moderno abbia costruito la propria identità sulle spalle non solo dei soggetti colonizzati, ma anche della sua minoranza fisicamente disabile. 

Esplora le insidie ​​del privilegiare la vista nella concettualizzazione della natura dei testi. E evidenzia come nella frammentazione dei corpi nell’arte occidentale si riveli un’ideale di integrità fisica al tempo stesso richiesto e negato nell”estetica classica della rappresentazione.

Far rispettare la normalità ridisegna i confini del discorso politico e culturale. Insistendo affinché la disabilità venga aggiunta alla familiare triade di razza, classe e genere, il libro sfida i progressisti ad espandere i limiti del loro pensiero sull’oppressione umana.

LA VALENZA SOCIALE DELLA SORDITA’

Nel libro Davis sostiene che la sordità nel corso dell’Illuminismo abbia assunto una valenza simbolica centrale, in ragione della codificazione del linguaggio dei segni da parte dell’Abbé de L’Épée.

Charles-Michel de L’Épée, più noto, appunto, come l’Abbé de L’Épée, era un filantropo che si era proposto di salvare i sordi dalla dannazione eterna, insegnando loro la parola divina.

Secondo l’analisi di Davis prima della creazione dell’Istituto per giovani sordi a Parigi la sordità dal punto di vista sociale non esisteva. 

Era una condizione che non trovava luogo nello spazio sociale, al di fuori di quello familiare e veniva sempre correlata al mutismo.

LA LINGUA DEI SEGNI E L’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’

La diffusione della lingua dei segni aveva aperto un varco per la nascita di una comunità linguistica, che era andata a rappresentare una sorta di “uscita dallo stato di minorità”.

La storia della sordità è caratterizzata da una  continua oscillazione dalla cornice patologica a quella sociale e identitaria, che segna la vita di ciascuna persona sorda.

Tuttavia, categorizzare certe esperienze come il risultato di un  modo “sordo” di vivere nel mondo e di relazionarsi  con l’altro, può portare a una esasperazione delle differenze e ha in sé il rischio di una involontaria promozione dell’esclusione in nome di una presunta autenticità.

Negli ultimi decenni i sostenitori di un’idea della sordità come cultura hanno affermato che le persone sorde non sono malate o disabili e che, quindi, non hanno bisogno di essere “riparate” (Butler, Skelton e Valentine, 2001; Dolnick, 1993; Lane, 1992, 1997; Padden & Humphries, 1988; Wilcox 1989).

Nei Deaf Studies si è arrivati anche a distinguere «sordo» (deaf) con la prima lettera minuscola opposto a «Sordo» (Deaf) con la prima lettera maiuscola per intendere due diversi modi di essere sordi: i sordi “audiologici”, che non condividono “il fatto sociale” con altri sordi, ma vivono e provano a integrarsi nel mondo udente e i sordi segnanti e appartenenti alla comunità (Dolnick, 1993).

SORDITA’ E DINAMICHE INGROUP E OUTGROUP

Si è così strutturata tra le persone sorde una rete di definizioni coniate all’interno del gruppo che si contrappongono in maniera sistematica ad altre definizioni usate al di fuori del gruppo.

In una definizione si riconoscono le persone sorde che non condividono la loro condizione socialmente e provano a integrarsi nel mondo udente e, in un’altra, le persone sorde che si considerano membri di una comunità sorda.

Quando la sordità viene trattata in termini di appartenenza a una comunità minoritaria, si formano, abbastanza spesso, confini tra chi è “più sordo” e chi è “meno sordo”, ma anche tra figli sordi di genitori udenti e figli sordi di genitori sordi. 

LA SORDITA’ COME CULTURA

L’articolo di Dolnick “La sordità come cultura“, presenta un eccellente sintesi di questo tipo di dibattito sulla cultura dei sordi.

Nel caso di figli sordi nati da genitori udenti “genitore e figlio appartengono a culture diverse, come accadrebbe in un’adozione etnica“, dice Dolnick, “e i bambini sordi acquisiscono un senso di identità culturale dai loro coetanei piuttosto che dai loro genitori“.

La visione della sordità come cultura sostiene che i bambini e gli adulti che non possono sentire sono isolati dalla popolazione generale perché la comunicazione con gli individui udenti sarà sempre laboriosa (Butler, Skelton & Valentine, 2001; Dolnick, 1993; Fletcher, 1988; Foster, 1988; Marschark , 1993; Padden & Humphries, 1988; Wilcox, 1989).

Ad esempio, lo studio di Foster ha esaminato le esperienze  degli studenti sordi all’interno di una popolazione di udenti e ha scoperto che la loro interazione con gli studenti non sordi era gravemente ridotta a causa delle barriere di comunicazione.

Lo studio ha anche rilevato che gli studenti sordi tendevano per la maggior parte a socializzare tra loro piuttosto che con studenti non sordi e questo è stato attribuito al linguaggio in comune e alle esperienze condivise.

Infatti, sebbene si tenda a pensare che la barriera comunicativa sia la sordità, in realtà, a un’analisi più attenta, si può osservare facilmente che la barriera comunicativa non è la sordità, ma, nel caso, l’indisponibilità dell’altro a utilizzare strumenti di comunicazione alternativi a quelli che usa di consueto per entrare in contatto con l’altro.

DOVE NASCE LO STIGMA

Ed è proprio da qui che nasce la formazione di gruppi minoritari. Dallo stigma. Vale a dire dalla riduzione dell’altro a una persona guasta, danneggiata, che ha in sé una o più barriere comunicative. È accaduto con alcune minoranze etniche e religiose, con gli omosessuali, le donne, le persone con una disabilità, che hanno trasformato i loro stigma, allo scopo di ridefinirsi nella loro base identitaria (Brewer, 1991; Brewer, 1995; Coates, 1988; Crocker, 1989).

Non tutte le persone stigmatizzate scelgono, però, di identificarsi con altre persone che subiscono lo stesso stigma. 

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che un elemento che contribuisce in maniera importante a prevedere se le persone stigmatizzate formeranno o non formeranno dei gruppi minoritari è la probabilità che tali persone possano provare un senso di appartenenza al gruppo maggioritario (Crocker e Major 1989; Wright, Taylor e Moghaddam, 1990).

UNA LINGUA COMUNE

Anche il linguaggio viene utilizzato come strumento di coesione e di separazione e contribuisce in maniera molto significativa alla dinamica della formazione del gruppo (Bourhis e Giles, 1979; Giles, Bourhis e Taylor, 1977).

È stato anche dimostrato che le persone tendono a identificarsi più con persone che parlano la loro stessa lingua che con persone che condividono il loro stesso background familiare (Giles, Bourhis e Taylor, 1977).

Questo porta molte persone sorde a cercare di liberarsi, comprensibilmente, da questo stigma della disabilità, considerando la sordità come un aspetto positivo della propria identità (Barnes, Mercer & Shakespeare, 1999; Linton, 1998).

Questa operazione, in alcuni casi, alimenta il rischio di non riconoscere quegli elementi di difficoltà e di sofferenza che una data condizione può comportare.

Sebbene i sostenitori della cultura sorda affermino di essere legati insieme dall’esperienza della sordità, affermano anche che la sordità non significa una perdita, ma una prospettiva diversa del mondo(Dolnick, 1993; Padden & Humphries, 1988; Lane, 1992; Wilcox, 1989).

Dolnick (1993) cita due sostenitori della cultura dei sordi che affermano che  la parola disabile descrive coloro che sono ciechi o handicappati fisici, non le persone sorde.

Fletcher (1988) esplora la sua esperienza nel crescere un bambino sordo e la sua sensazione di disagio quando suo figlio indossa apparecchi acustici: “I miei occhi passano dal viso agli apparecchi acustici… Riconosco in me stesso un profondo sentimento di pietà… Il termine non udenti porta con sé il ricordo costante di un difetto, qualcosa di sbagliato, rotto”.

LA NORMA SORDA

Le logiche complesse della definizione di confini identitari e comunitari muovono attorno all’idea che possa esistere un modo di essere e di agire da sordo puro, che si contrappone a un modo di essere e di agire da udente, una sorta di “norma sorda”, che sarebbe costituita da una serie di modalità di comunicare, socializzare, rapportarsi con l’ambiente.

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